Pagina:De Sanctis, Francesco – Saggi critici, Vol. I, 1952 – BEIC 1803461.djvu/154

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contentava di ruminar fra me stesso e di piangere alle volte dirottamente senza saper di che, e nello stesso modo di ridere». A che moltiplicare citazioni? Quest’uomo che non sa scrivere tre parole correttamente, ha un carattere nobilissimo, un desiderio ardentissimo di gloria, tutto un mondo interiore di pensiero o d’immagini che si solleva tutto intiero con estrema violenza ad ogni minima impressione. Siccome non c’è proporzione tra le lievi cagioni e gli effetti smisurati ch’elle producono in lui, dee parer pazzo, non che ad altri, a sé stesso. «Queste cose se non sono seguitate da scritto nessuno, sono tenute per mera pazzia, e lo sono; se partoriscono scritti, si chiamano poesia e lo sono.» Alfieri aveva ragione: egli era poeta, e non sei sapeva. Era un mutolo che non potendo travasare al di fuori tutto ciò che gli bolliva nell’animo, manifestava la sua impotenza in gesti sconvolti, in contorcimenti, in grida, anzi mugghi: quella tempesta di pensieri e d’immagini che gli freme al di dentro, egli traduce in furori, in malinconie, in pazze corse, in passioni frenetiche, in una perpetua irrequietudine. Date la lingua a questo mutolo, e quello che prima ch’amavate «furore e pazzia», diventerá poesia. E quanti sforzi incredibili per acquistare questa lingua! I piú in quel tempo gallicizzavano di pensiero e di lingua; si parlava e si scriveva un italiano corrotto, francese di stile, di frasi, di vocaboli. Anche oggi, quanti giovani, usciti di mano ai pedanti, sentono il bisogno di rifarsi da capo a studiare la propria lingua! Quanti dottori e professori ed avvocati cinguettano ancora l’italiano, come faceva Alfieri prima dei suoi trent’anni! Egli si abbandonò a questo studio con un ardore ed una costanza da non poterglisi comparare che Demostene: la passione delle donne, dei cavalli, dei viaggi, si raccolse in una sola, la passione, anzi la rabbia dello studio; e da tanta mobilitá ed irrequietezza passò allo star chiuso in una camera e legato sopra una sedia. Che cosa vedo spingeva? La stessa coscienza che sospingeva Demostene, di avere un’anima nata a grandi cose. Demostene, schernito alla sua prima orazione, si senti oratore. Alfieri, applaudito al suo primo saggio, si sentí poeta: il pubblico per diversa via operò con pari efficacia