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E gl’istinti del popolo non s’ingannano; dove passa, gli si battono le mani: innanzi allo straniero sentono che Napoleone è la Francia. Questa grande figura sorge in tutta la sublime maestá della sventura anche di sotto alla penna insidiosa o malevola del Villemain. Il quale non ha contro di lui che un perpetuo ritornello: — Perché lasciasti l’esercito dopo Waterloo? Abdicasti come generale, dovevi abdicare come imperatore. — Vedi un po’: il Villemain ci presenta il ritorno di Napoleone a Parigi, quasi come una diserzione! In quel solenne momento la Francia non poteva resistere, se non con una dittatura, con raccogliere sotto una sola volontá tutte le forze vive della nazione. Ecco ciò che senti Napoleone e lo menò a Parigi. La dittatura non fu consentita a lui, non fu presa dalla Camera. Si chiacchierò, finché lo straniero fu a Parigi.

Non solo è falsificata la storia, ma parmi che al Villemain sia pur fallito il suo scopo. Il suo libro è sbagliato, anche come libro politico. Oggi è tattica dei partiti abbassare tanto Napoleone, quanto si è voluto esaltarlo durante il regno di Luigi Filippo. È via senza uscita. Napoleone è oramai una grande memoria storica per il popolo francese. Non la toccate: si vede subito l’interesse che vi move, ed il lettore si mette in guardia. Ferdinando II si vantava spesso discendente di Enrico IV e San Luigi. Che volete farci? Volete dimostrarmi che Enrico IV fu un imbecille, e San Luigi un furfante?

[Nel «Piemonte», a. I, n. 2i2, 7 settembre i855.]