Pagina:De Sanctis, Francesco – Saggi critici, Vol. I, 1952 – BEIC 1803461.djvu/20

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sua anima. Donde nasce in loro una certa uniformitá, e talora alcun che di subbiettivo e di astratto ed anche di rettorico: del qual difetto però appena qualche vestigio è in Tecla e nel figliuolo di Piccolomini. Ne’ primi suoi drammi questo difetto è ancora in tutt’i personaggi; ci si vede una giovinezza ardita e impaziente, inesperta delle cose e degli uomini. Venuto il suo ingegno a maturitá, il poeta, nello studio della storia e nell’uso del mondo, acquista quel senso del concreto e del reale, senza di cui non è vero ideale: ed i suoi personaggi sono ritratti con quelle gradazioni, con quelle contraddizioni, con quel misto di bene e di male, di debole e di grande, che ne fa non tipi astratti ed assoluti, ma uomini vivi in mezzo alle credenze, ai costumi, e alle passioni dei loro tempi. Per questa parte Schiller si allontana dalla scuola francese, dove talora è a biasimare «la pompa oratoria delle parole, e l’esagerazione fattizia de’ caratteri», ed emula Shakespeare, che avanza ancora nella esattezza dei particolari. L’uno è il pittore de’ mezzi tempi; l’altro del mondo moderno. A quella violenza di passioni, a quella pertinacia di volontá, a quella colossale grandezza degli uomini di Shakespeare, succede l’ipocrisia, la mediocritá, la fiacchezza; la coscienza alla spontaneitá, la parola- all’azione. Il vigore e la forza dell’uno è pari alla sagacia e penetrazione dell’altro. Pochi come Schiller sanno mostrarci ad un tempo gli uomini come sono e come si sforzano di parere: e perfette creazioni in questo genere sono Filippo, Wallenstein, Elisabetta, Ottavio, Domingo, il Duca d’Alba, Leicester, Cecilio. Wallenstein fra questi è un carattere generoso: pure egli è giá scaduto della sua prisca grandezza: il suo desiderio è ardito, la sua volontá è fiacca. Egli si crede un Cesare; ma egli esita lungo tempo innanzi al Rubicone, e quando vuol passarlo, è giá troppo tardi. Ne’ suoi pensieri niente è di serio: sembra ch’ei si trastulli con essi, come giovane che si compiaccia nelle fole e ne’ sogni della sua fantasia. Dice Macbeth: la parola uccide l’azione: e Wallenstein fantastica, medita, dubita; ed incalzato dagli avvenimenti non è piú in sua balia la scelta, e giunge tardo e lento all’azione, quasi trasportato e costretto da una forza esteriore. Io spiego.