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«BEATRICE CENCI»

Storia del secolo xvi, di F. D. Guerrazzi.


Beatrice Cenci è un nome che si pronunzia con voce sommessa e con un certo involontario raccapriccio; il Guerrazzi vuole che quind’innanzi si pronunzii con amore ed ammirazione. A conseguir questo effetto ci sono due vie: o confessare il parricidio appostole e giustificarlo, o negarlo ricisamente. Il Guerrazzi si attiene all’ima e all’altra. Conceduto che la confessione di Beatrice sia veridica, egli dimostra nella splendida difesa che pone in bocca all’avvocato Farinaccio la legittimitá del suo parricidio. Ma questa non è che una ipotesi, non avendo egli osato di rappresentare come fatto quello che ha saputo sí ben difendere come principio. Scostandosi con molto senno dal Shelley e dalla credenza volgare, e vagheggiando Beatrice come «un angiolo di martirio», non gli è dato il cuore di farcela comparire dinanzi bruttata del sangue paterno, e non solo nel suo racconto ella non è parricida, anzi salva al padre due volte la vita. Il Shelley, secondo il vezzo degli ultimi tempi, ha cercato l’effetto estetico nell’orrore, e la legittimitá del parricidio, che nel racconto italiano rimane una tesi, un principio scientifico, è il concetto intimo del suo lavoro. Il Guerrazzi, scagionando Beatrice del fatto ed alterando una circostanza di tanto momento, ha rimosso una gravissima difficoltá non potuta vincere dallo scrittore inglese. E come si fa a rendere, non dico amabile, ma solo