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Riassumendo, l’Orlando furioso, il poema divino, secondo il Cantú, o non ha, scopo, o ha a scopo l’adulazione; i caratteri vi sono mediocri e imperfetti, come è dei due principalissimi personaggi, Orlando e Carlo; vi si trova falsificata la storia, la cosmogonia, la geografia, l’astronomia, le belle arti; le invenzioni, per lo piú tolte da altri, non sono sorrette dall’allegoria, non sono riscontrate dalla ragione e ci gittano in un mondo perpetuamente falso, ove l’inverosimile uccide il fantastico; niente ci è che ricordi la patria o i tempi suoi o le opere dell’ingegno, come arti, mestieri, leggi, scoperte; niente vi è di serio; vi si ride di tutto, della religione, della morale, del soggetto, dell’autore, e dei lettori. Se non fosse lo stile, niente vi sarebbe degno di lode.

Tutte queste critiche del Cantú, salvo un po’ d’esagerazione, sono giuste nel fondo. Chi può mettere in dubbio che nel « divino poema » vi sieno caratteri imperfetti e mediocri, sbagli di storia o di geografia, molte scurrilitá, invenzioni tolte altronde e senza freno di ragione, e cose simili? Sono osservazioni fatte, rifatte, e che non sono giunte mai a scemare l’ammirazione verso il sommo poeta. Anzi, dove non ci è quasi gran poeta, che non abbia avuto i suoi violenti detrattori, e la cui fama non siasi oscurata in qualche secolo, la riputazione dell’Ariosto è andata sempre crescendo, non solo in Italia, ma in tutta la colta Europa, ed oggi i critici piú dotti e competenti non dubitano di metterlo accanto ai primissimi, a Dante, a Omero, a Shakespeare.

La fama del poeta cresce, e nondimeno queste critiche si accettano e si tengono per buone e per giuste. Il che vuol dire che queste critiche, giuste in sé stesse, diventano assurde, quando si prendono a criterio de’ giudizii, e se ne vuole inferire il valore intimo dell’opera. Finché il Cantú dicesse: — Io non direi a’ giovani di voler imparare la morale o la storia nell’Orlando furioso, o di cercarvi lezioni di patriottismo o di belle arti ; noi diremmo lo stesso. Ma quando, dettando una storia della letteratura, mi gitta giú il « divino poema », per gli sbagli di storia o di geografia, per gli errori di morale, per la licenza dello scri-