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284 saggi critici

sventurati. Quando Dante perdette la sua Beatrice, cosí gli scriveva Guido:

                                    Io vegno il giorno a te infinite volte,
E trovoti posar troppo vilmente:
Molto mi duol della gentil tua mente
E di assai sue virtù che ti son tolte.
                         
E a Guido cosí scriveva Dante, in uno de’ suoi momenti di fantasia e di maninconia:
                                    Guido, vorrei che tu e Lappo1 e io
Fossimo presi per incantamento,
E messi in un vascel, che ad ogni vento
Per mare andasse a voler vostro e mio;
     Sicché fortuna od altro tempo rio
Non ci potesse dare impedimento,
Anzi, vivendo sempre in un talento,
Di stare insieme crescesse il desio.
                         
Quest’ultimo verso è di una singolare energia. Forse non è alcuno che non abbia taluna volta fantasticato in questo modo, abbandonandosi a vane immaginazioni, volgendo le spalle al tristo mondo e riparando su qualche isola deserta, solo con l’amata, o co’ suoi piú cari. E tra’ più cari di Dante era Guido2 il più intimo e il primo de’ suoi amici, come dice nella Vita Nuova.

Questi erano i sentimenti, queste le impressioni della giovanezza di Dante. La generazione passata gli era innanzi ne’ suoi grandi uomini, di cui parla con tanto affetto e ammirazione. Quando incontra il Tegghiajo e il Rusticucci, dice:

                                    Di vostra terra sono, e sempre mai
L’ovra di voi e gli onorati nomi
Con affezion ritrassi ed ascoltai.
                         


  1. Lapo Gianni, altro poeta.
  2. Testo della nota assente.