Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
26 | saggi critici |
denti sputacchiati; chi li chiama bambini e chi matti; a poco a poco dubitano anche essi e dicono: — Libertá, virtú, Dio, popolo, scienza, poesia; sarebbe forse un’illusione? avremmo noi ragione, quando tutto il mondo ci grida: avete torto? — ; e negano anch’essi, e Lamartine, lo stesso Lamartine, nega la poesia. Che cosa fará il poeta, rimaso solitario e senza eco? dove incarnerá i suoi fantasmi? quale forma è restata intatta? Alcuni ci si ostinano, e addentrano le mani in questo putridume, stracciando le viscere di un Prometeo morto. Gl’inganna il simulacro di vita; gli occhi sono aperti ancora, ma ne è partita l’anima: Prometeo è ben morto. Ne’ loro versi vi è tempio, ma senza Dio; vi è la cittá, ma senza idea; vi è la famiglia, ma senza sentimento; vi è il sole, ma senza luce; al di sotto de’ versi sonori vi è Mefistofele, che risponde con un lungo riso. Se vogliamo incontrare ancora un poeta, rifacciamo il cammino dell’umanitá, e di forma in forma, di tomba in tomba, giungeremo a quei formidabili inizii, quando Venere non era ancora uscita dal grembo della natura, quando la forma non era ancor nata; lá troveremo l’uomo faccia a faccia con l’infinito, nudo e solitario anch’esso; lá incontreremo Leopardi, Goethe e Byron; lá incontreremo Victor Hugo.
L’infinito è il motto del poeta moderno; è la parola con la quale ricomincia ogni nuova Gerusalemme, il Verbo di Mosé e di Dante, il «potere ascoso» del Leopardi:
Le muet Infini, sotnbre mer ignorée1. |
Victor Hugo lo chiama «Jéhovah», lo sconosciuto, il silenzioso, l’Enigma posto come enigma: queste sette lettere sono:
Les sept astres géants du noir septentrion2. |