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giuseppe parini ii9


nel ginnasio Arcimboldi tenuto da’ Barnabiti. Ma sul piú bello fu costretto dalle strettezze domestiche a lasciare la scuola, e cominciò la dura vita di copista e pedagogo. Ne’ ritagli di tempo ritornava alle sue care letture ed obbliava il suo stato conversando con Virgilio, Orazio, Plutarco, Dante, Berni e Ariosto. Nella scuola avea dovuto cercarvi le frasi: cosí volevano il padre Branda, il padre Bandiera e il padre Soave, i pedanti del tempo. Il giovanetto era stato un cattivo scolare, ristucco di quei giochi di memoria. Pure ne avea cavato che potea intendere gli scrittori ed esser maestro di sé stesso. Nella sua vita pura e semplice, tutto padre e madre e paese mio, rotta alla fatica e segregata da quelle condizioni morbose delle grandi cittá che corrompono la gioventú, quelle letture facevano piú che una impressione letteraria, rivelavano un mondo morale ed elevato, gl’ingrandivano e nobilitavano l’animo. Cosa dovean parere a lui un Borromeo, e un Serbelloni, a lui che conosceva Virgilio e Dante? E come dovea sapergli amaro quel falso riso di protezione che vuol essere una carezza ed è un colpo di coltello a chi ha l’anima nobile! Il carattere si temperava in quei muti disprezzi, in quegli sdegni repressi. Il sentimento dell’eguaglianza si era giá molto sviluppato in Italia insieme con la coltura. Campanella, che si sentivc contemporaneo de’ filosofi e de’ poeti di tutte le etá, guardava da quell’altezza sotto di sé re e papi. In quello stato della coltura la distinzione delle classi era un’ipocrisia, come andare a messa e farsi la croce. E ci era ipocrisia, perché il carattere non era uguale alla coltura, e dal Concilio di Trento in poi la forte razza di Sarpi e di Bruno era scomparsa, e norma della vita era altro credere e altro fare. La coltura scompagnata da un elevato senso morale è peggior male che l’ignoranza, perché suscita in te nuovi istinti e nuovi bisogni senza modo onesto di soddisfarli, e ti arrampichi per salir su a quei medesimi che in cuor tuo di sprezzi, come faceva il Casti, e sei il parassito e il passatempo loro Parli di eguaglianza, e non ti credo; perché veggo ne’ tuoi occhi non so che impuro, un sentimento d’invidia e di cupidigia un: — Oh fossi anch’io come loro! — . Perciò l’uomo cre-