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28 saggi critici

il conte Ugolino, il personaggio piú eloquente e piú moderno della Divina Commedia?

Gli è che qui Ugolino non è il traditore, ma il tradito. Certo, anche il conte Ugolino è un traditore e perciò si trova qui; ma per una ingegnosissima combinazione, come Paolo si trova legato in eterno a Francesca, Ugolino si trova legato in eterno a Ruggiero, che lo tradí, legato non dall’amore, ma dall’odio. In Ugolino non parla il traditore, ma il tradito, l’uomo offeso in sé e ne’ suoi figli. Al suo delitto non fa la piú lontana allusione; non è quistione del suo delitto: attaccato al teschio del suo nemico, istrumento dell’eterna giustizia, egli è lá, ricordo vivente e appassionato del delitto dell’arcivescovo Ruggiero. Il traditore c’è, ma non è Ugolino; è quella testa che gli sta sotto a’ denti, che non dá un crollo, che non mette un grido, dove ogni espressione di vita è cancellata, l’ideale piú perfetto dell’uomo petrificato. Ugolino è il tradito che la divina giustizia ha attaccato a quel cranio; e non è solo il carnefice, esecutore di comandi, a cui la sua anima rimanga estranea; ma è insieme l’uomo offeso che vi aggiunge di suo l’odio e la vendetta. Il concetto della pena è la legge del taglione o il «contrappasso», come direbbe Dante: Ruggiero diviene il «fiero pasto» di un uomo per opera sua morto di fame, lui e i figli. Se il concetto rimanesse in questi termini astratti, il modo della pena genererebbe il disgusto e non sarebbe senza un’ombra di grottesco. Ma qui il disgusto è immediatamente trasformato nel sublime dell’orrore, perché l’esecutore della pena non è un istrumento astratto e indifferente di Dio, ma è lo stesso offeso che sazia nel suo nemico la fame dell’odio e della vendetta. A questo non hanno badato quei comentatori di si tenera pasta che si turano il naso per non sentire il puzzo delle cervella e del sangue, e gridano indecente e disgustoso lo spettacolo. Perché ciò? Perché nel lettore vi sono due impressioni, e nel poeta ce n’è una sola. Dante, dominato dall’orrore del fatto e con in capo giá abbozzata e fervente l’immagine di Ugolino, non si arresta alle cervella ed al sangue, che entrano come immagini confuse nella sua visione; egli dice: il teschio e «le altre cose»;