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un dramma claustrale 57
                                                   
                         

Il Giovane

                    
                                              
                                    Dappoi che Dio per sua bontá mi sciolse
Dal cieco mondo e per don singolare
A questa vita angelica mi volse,
Ben lo dovrei degnamente lodare,
Dappoi che il piú m’ha dato e il men mi tolse;
Ma non deggio la mia possa agguagliare
Alla sua somma e infinita potenzia.
Se non umile averlo in riverenzia,
     E preservar la santa continenza.
Con aspra vita la carne domare,
E per fuggir del mondo l’apparenza
Per lo spirito pover diventare,
Umile stando sempre a ubbidienza
Per potere il nemico superare,
E che tra lo mio core e il mio Signore
Altro non sia se non grazia e amore.
     Ma perché non si può pel parentado
Che l’alma ha colla carne pervenire
Senza debiti mezzi a tanto grado,
Vo’ drieto a’ passi di color seguire,
Che in tanto fondo mi scorgano il guado,
Però qui umile venni per servire
A questo uom santo con sollecitudine,
Perché mi guidi alla beatitudine.
                                                       (Parte)
                    
                                              
                         

Il Santo Padre

                    

per dimostrare che il servigio del suo monaco gli era da Dio mandato, e che lui l’avea grato, ed erane conoscente, dice:

                                                   
                                         Nessun si dee nel mondo gloriare
Che pe’ meriti suoi riceva bene.
Però che il frutto del nostro operare
Poco ci giova, se da Dio non viene:
Adunque lui quanto si può lodare
A noi in ciascun atto si appartiene.
Perché sendo da lui fatti e formati
Di tanto don non ci mostriamo ingrati.