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un dramma claustrale 69


Klein dice: — Il concetto del dramma è l’apoteosi della vita monacale o contemplativa — . Or questo non è il concetto del dramma, ma il suo antecedente, il suo sottinteso; non è il problema, è il «posto» o il «dato» del problema. Che la vita contemplativa sia di maggior perfezione che la vita attiva, e la miglior via a salute, questo è il luogo comune del Medio evo, il concetto fondamentale dell’arte a quel tempo, la base della Divina Commedia. E se questo fosse qui il concetto, dovrebbe finire il dramma quando il giovane, lasciati padre e madre, va al deserto e si fa romito. Ma qui appunto comincia l’intreccio, e Klein dovrebbe sempre spiegare perché il novizio, mentre celebra le lodi della vita contemplativa, è dannato, e perché poi si muta il decreto di Dio ed è salvato. Qui è il nodo della quistione, ed Ebert vi ha messo la mano, e non avendo innanzi che i brevi estratti del Palermo s’è sviato.

Ora chi legge con qualche attenzione la preghiera del romito e la risposta dell’Angiolo, gli apparirá subito il concetto. Il romito prega Dio a volergli rivelare qual luogo è riservato al novizio in paradiso. Ma non è ben sicuro del fatto suo, e teme che faccia atto di presunzione a voler cercare i secreti di Dio, e che sia peccato. E l’Angiolo glie ne fa rimprovero espresso:

                               E tu che vai cercando il destinato,
Sappi che il servo tuo sará dannato.
               

Dannato! Lui ch’egli vede esercitarsi «in tante opere buone»! Secondo la ragione umana, il romito dovrebbe reputare ingiusto questo atto della divina volontá; ma egli ha fede in Dio, non osa metterne in discussione i giudizii imperscrutabili, e adora il mistero che non comprende. Dopo la risposta dell’Angiolo il suo peccato gli si rivela chiaro innanzi alla coscienza. È il peccato di Adamo, ch’egli descrive con l’energia del sentimento:

                               O uomo istolto, che vai tu cercando?
Quello che a te non si appartien sapere?