Pagina:De Sanctis, Francesco – Saggio critico sul Petrarca, 1954 – BEIC 1805656.djvu/239

Da Wikisource.

xii. conchiusione 233

creduto conveniente alla grandezza della mia patria ed alla dignitá e sinceritá d’uomo dire aperto quello che pensavo, presentare il Petrarca qual io lo concepisco, senza rispetto di sorta altro che del vero, senza guardare se la sua immagine ne esca ingrandita o impiccolita. Cosi com’è, la è grande abbastanza, perché rimanga ne’ secoli.

Sovrano maestro d’armonie, pratico di tutti gli artificii e i segreti dell’elocuzione e della metrica, non è meraviglia che sia stato per si lungo tempo idolo della nazione ed esempio di gusto anche agli stranieri. Quelle forme eleganti e squisite, sciolte dallo spirito che le creò, divennero a poco a poco il morto vocabolario de’ lirici italiani; quel vasto repertorio di pensieri filosofici, morali, politici, erotici, cavati dal lavoro anteriore dell’umanitá e fissati maestrevolmente in forma di sentenze, fu saccheggiato da’ poeti posteriori. Riapparve il Canzoniere per parecchi secoli, a spizzico, parole e pensieri, come un cadavere: lo spirito, che lo vivificava, era scomparso. Quello che potevasi meccanicamente riprodurre, e che fu riprodotto, quello lodarono; intesi unicamente i critici a porre in rilievo le frasi, i concetti e le figure. E, poiché questo bel materiale riluce e spicca piú dove sta come per una civetteria di cattivo gusto accumulato, imitarono e predicarono poesie che sono tra le peggiori. Sottilizzando sulle sottigliezze petrarchesche, e raffinando modi e concetti giá in sé raffinati, si venne a tale, che Salvator Rosa potè ben dire:

                                    Le metafore il Sole han consumato.