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xii - il cinquecento | 411 |
e di farle credere s’ingegnasse alle persone; e non avendo né padre né madre, ed assai benestante sendo, gli conveniva stare il piú del tempo solo in casa, non trovando per la paura ne serva né famiglio che volesse star seco, e di questo infra sé maravigliosamente godea; e praticando poco, andando a casa con la barba avviluppata senza mai pettinarsi, sudicio sempre e sporco, era tenuto dalla plebe per un gran filosofo e negromante.
[Zoroastro] si stese in terra bocconi e disse non so che parole, e, rittosi in piede e fatto due tomboli, si arrecò da un canto del cerchio inginocchioni e, guardando fisso nel vaso..., disse: — Il Monaco nostro ha giá riavuto il resto, e vassene con l’insalata verso Pellicceria per andarsene a casa; ma in questo istante io l’ho fatto invisibilmente alzare ai diavoli da terra. Oh eccolo che egli è giá sopra il Vescovado! Oh egli vien bene, egli è giá sopra la piazza di Madonna! Oh ora egli è sopra la vecchia di Santa Maria novella. Testé entra in Guaifonda. Oh eccolo a mezza la strada! Oh egli è giá presso a meno di cinquanta braccia! Oh eccolo, eccolo giá rasente alla finestra! Or ora sará nel cerchio. — E quest’ultima parola fornita, il Monaco che stava alla posta, data una spinta alla finestra, saltò nel mezzo del cerchio in pianelle, in mantello, in cappuccio, e con l’insalata e con le radici in mano.