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48 storia della letteratura italiana


in Guido Cavalcanti. Anche in lui la perfezion tecnica è somma, anzi in lui è scienza. Innamorato della lingua natia, pose ogni studio a dirozzarla e fissarla, e scrisse una gramadca e un’arte del dire. Egli, nota Filippo Villani, dilettandosi degli studi rettoria’, essa arte in composizioni di rime volgari legantemente e artificiosamente tradusse. Di che si vede quanta impressione dovè fare su’ contemporanei di Guittone e Brunetto Latini tanto e si nuovo artificio spiegato come scienza e applicato come arte. Cosi Guido divenne il capo della nuova scuola, il creatore del nuovo stile e oscurò Guido Guinicelli:

                                              Cosi ha tolto l’uno all’altro Guido
la gloria della lingua.
     

Ma la gloria della lingua non bastava a Guido, a cui lingua e poesia erano cose accessorie, semplici ornamenti: sostanza era la filosofia. Perciò aveva a disdegno Virgilio, parendogli, dice il Boccaccio, «la filosofia, siccome ella è, da molto piú che la poesia». Sottilissimo dialettico, come lo chiama Lorenzo de’ Medici, introduce nella poesia tutte le finezze rettoriche e scolastiche, e mira a questo: non solo di dir bene, ma dir cose importanti. I contemporanei studiarono la sua canzone dell’Amore come si fa un trattato filosofico, e ne fecero comenti, come si soleva di Aristotile e di san Tommaso: anche piú tardi il Ficino vi cercava le dottrine di Platone. Cosi Guido era tenuto eccellente non solo come artificioso ed elegante dicitore, ma come sommo filosofo.

Questo voleva Guido e questo ottenne, questo gli bastò ad acquistare il primo posto fra’ contemporanei. Salutavano in lui lo scienziato e l’artista.

Ma Guido fu dotto piú che scienziato. Fu benemerito della scienza perché la divulgò, non perché vi lasciasse alcuna sua orma propria. E fu artefice piú che artista, inteso massimamente alla parte meccanica e tecnica della forma: vanto non piccolo, ma che tocca la sola superficie dell’arte.

La gloria di Guido fu lá dov’egli non cercò altro che un sollievo e uno sfogo dell’animo. Fu lá, ch’egli senza volerlo e