Pagina:Deledda - Canne al vento, Milano, 1913.djvu/38

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Ella tolse un filo dalla coperta e lo buttò nel cortile: il suo viso s’era oscurato.

— Quando non siamo andate d’accordo? Finora sempre.

— Sì.... ma.... pare che lei non sia contenta dell’arrivo di don Giacintino.

— Devo mettermi a cantare? Non è il Messia! — ella disse, passando di traverso nella porticina dal cui vano si vedeva l’interno d’una camera bianca con un letto antico, un cassettone antico, una finestruola senza vetri aperta sullo sfondo verde del Monte.

Efix scese, staccò una piccola violacciocca rosea e tenendola fra le dita intrecciate sulla schiena si diresse alla basilica.

Il silenzio e la frescura del Monte incombente regnavano attorno: solo il gorgheggio delle cingallegre in mezzo ai rovi animava il luogo, accompagnando la preghiera monotona delle donne raccolte nella chiesa. Efix entrò in punta di piedi, con la violacciocca fra le dita, e s’inginocchiò dietro la colonna del pulpito.

La basilica cadeva in rovina; tutto vi era grigio, umido e polveroso: dai buchi del tetto di legno piovevan raggi obliqui di polviscolo argenteo che finivano sulla testa delle donne inginocchiate per terra, e le figure giallognole che balzavano dagli sfondi neri screpolati dei dipinti che ancora decoravano le pareti somigliavano a queste donne vestite di nero e