Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/257

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Egli si rasserenava pensando a Maria Obinu: quando disse «ella ora si è emendata» provò un impeto di gioia, sicuro, in quel momento, di non ingiuriarsi supponendo che Maria e Olì fossero la stessa persona.

— Ma sei sicuro, ma sei proprio sicuro? — chiese la vecchia, sbalordita.

— Ma sì! Ma sìii!... — egli rispose, imitando Margherita nel pronunziare quel sì lieto e un po’ canzonatore. — Ho vissuto due mesi in casa sua.

Si versò da bere, guardò il vino attraverso la luce rossastra della lucerna di ferro, e sembrandogli torbido lo assaggiò appena; poi nel pulirsi la bocca vide che il vecchio tovagliolo grigiastro era bucato, e se ne coprì scherzosamente il viso.

— Ricordate quando io e Zuanne ci mascheravamo? — chiese, guardando attraverso il buco.

— Io mettevo sul viso questo tovagliolo. Ma che avete? — esclamò subito con voce mutata, scoprendosi il volto lievemente impallidito.

Egli vedeva il viso della vedova, di solito impassibile e cadaverico, animarsi in modo strano, e dopo una profonda meraviglia esprimere la pietà più intensa; e capì immediatamente che l’oggetto di questa pietà quasi violenta era lui.

Di un colpo l’edifizio del suo sogno rovinò.

— Nonna! Zia Grathia! Voi sapete! — gridò, con aria spaventata, stirando nervosamente il tovagliuolo quanto era lungo.