Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/36

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— Va alla fonte.

— Dille che venga qui, che ho da parlarle.

— Sissignore, — rispondeva il piccolo innocente.

E riferiva la cosa ad Olì, ed Olì gli somministrava in risposta qualche paio di schiaffi e gli proibiva di tornare nel cortile (eppure una volta egli la vide discorrere con un carabiniere) ma egli naturalmente non obbediva, perchè non sapeva vivere se non con Zuanne o coi figli del fabbricante di ceri.

Tranne la domenica e i giorni della gran festa dei Martiri, in primavera, una solitudine triste regnava nel grande cortile soleggiato, sotto le tettoie in rovina, piene d’odor di cera, sotto l’enorme noce che ad Anania sembrava più alto del Gennargentu, e nell’interno della Basilica, le cui pitture e gli stucchi pareva si consumassero per l’abbandono e l’oblio in cui erano lasciati; eppure egli ricordò sempre con dolcezza nostalgica quel luogo deserto, dove in primavera l’avena cresceva fra le pietre, ed in autunno le foglie rugginose del noce cadevano come ali d’uccelli morti. Zuanne, che si struggeva per il desiderio di giocare nel cortile, e s’annoiava quando Anania non lo seguiva, era geloso dei figli del ceraiuolo e faceva di tutto perchè l’amico non li frequentasse.

— Vieni domani con me, — diceva ad Anania, mentre arrostivano le castagne sulle brage del focolare. — T’insegnerò dove si trova un nido di lepri. Ce ne sono tante, vedi, così pie-