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258 un po' a tutti


tutto il suo benestare e come non occorra esser nobili per non far calcolo del denaro. Fin dall’alba ella correva di qua e di là, piccola, grassa e bianca nel suo costume marrone orlato di violetto, con le treccie nere oleose attorte come cordicelle sulla nuca prominente; litigava col marito che non voleva tutta quella baraonda in casa, correva al balcone per vedere se arrivavano ospiti.

Dopo tutto, quattro quinti del patrimonio erano suoi: ella faceva la festa anche per dimostrare la sua padronanza al marito, e il marito ogni anno se ne andava in campagna per evitare litigi.

— Basta che io apra la bocca, ecco lui, il cinghiale, che grugnisce e scappa, — ella si lamentava col servo che scuojava un montone appeso ad un piuolo nel cortile, mentre la serva anziana attizzava il fuoco sotto la caldaia; — mi vorrebbe murare viva, come donna Maria di Gùdula; ma io ho denti buoni, li vedete, e so morsicare, mi morsichi la volpe! Va, egli se n’è andato, al predio dice lui, e dice che non tornerà più in paese. Selvatico e prepotente lo è, sì, ma a me non importa. Io non vivo del suo: ed egli non vuol bene neanche a suo figlio....

— Perciò lo hanno bene soprannominato Palasadie, che dà le spalle alla luce del giorno, — disse la serva curva sulla caldaia come una fattucchiera. Ma la padrona non permetteva che si parlasse male di suo marito.