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Tre vecchioni a cui l’età e forse anche la consuetudine di star sempre assieme han dato una somiglianza di fratelli, stanno seduti tutto il santo giorno e quando è bel tempo anche gran parte della sera, su una panchina di pietra addossata al muro duna casetta di Nuoro.

Tutti e tre col bastone fra le gambe, di tanto in tanto fanno un piccolo buco per seppellirvi una formica o un insetto o per sputarvi dentro, o guardano il sole per indovinare l’ora. E ridono e chiacchierano coi ragazzetti della strada, non meno sereni e innocenti di loro.

Intorno è la pace sonnolenta del vicinato di Sant’Ussula, le tane di pietra dei contadini e dei pastori nuoresi: qualche pianta di fico si sporge dalle muricce dei cortili e se il vento passa le foglie si sbattono l’una contro l’altra come fossero di metallo. Allo svolto della strada appare il monte Orthobene grigio e verde fra le due grandi ali azzurre dei monti d’Oliena e dei monti di Lula.

Fin da quando ero bambina io, i tre vecchi vivevano là, tali e quali sono ancora ades-