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Il mercoledì santo Simone Barca andò a confessarsi. Era disperato, e l’uomo disperato si ricorda volentieri di Dio, come il malato del medico.

Simone dunque andò nella Basilica, monumento nazionale che ancora arricchisce il paese decaduto, e dove in quell’ora del mattino, solo qualche frate dell’attiguo convento celebrava la messa, nelle cappelle ove l’umido ha ricoperto d’uno strato verde gli antichissimi affreschi. Le donne barbaricine, col cappuccio in testa e le gonne ruvide strette come fascie e allacciate con catenelle d’argento, cantavano il rosario nel loro dialetto latino: le loro voci si perdevano nella vastità della Basilica come tra le rovine di un tempio, e dalla valle penetrava, per le porte spalancate, un odore selvatico di euforbia e di gemme d’ontano. Simone andò a confessarsi dal frate priore che riempiva col suo corpo enorme il piccolo confessionale e ansava e ronfava, là dentro, come un orso in una gabbia.