Pagina:Deledda - Colombi e sparvieri, Milano, 1912.djvu/117

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Ma una sera decisi di partire, di cominciare una vita nuova. Prima di andarmene salutai l’unica amica fedele che mi rimaneva, la natura. Vidi cader la sera sulla valle. Era una notte interlunare, ma io distinguevo i profili neri del paesaggio, vedevo qua e là qualche luce lontana e sentivo il profumo che saliva dalle macchie; un profumo così intenso che quasi mi dava un senso di ebbrezza.

Rimasi a lungo seduto sull’orlo del sentiero sabbioso, abituandomi talmente all’oscurità che distinguevo le foglioline sull’estremità dei cespugli.

Così mi sembrava di veder chiaro nelle tenebre della mia esistenza, e mi giudicavo spietatamente, ma mi credevo grande appunto perchè vedevo i miei difetti ed i miei errori.

Ho errato, pensavo. Ho offeso quasi la natura, amando una donna che non mi rassomiglia, mettendomi a lottare con un uomo la cui forza è diversa dalla mia. E adesso la natura si vendica, e mi fa capire che è pericoloso combattere contro le sue leggi e contro le sue insidie. E a poco a poco le mie considerazioni mi parevano susurrate dal lieve fruscio delle macchie intorno a me. La natura parlava coi suoi profumi e coi suoi susurri; la terra selvaggia mi dava come una madre sincera avvertimenti e consigli.

— Vattene, se no guai a te! Diventerai più feroce di loro, ritornerai l’uomo del tuo paese, colui che si fa giustizia da sè.

Rientrai a casa tranquillo e dopo tante notti d’insonnia dormii profondamente.

Ma non volevo che la mia partenza sembrasse una fuga, e l’indomani dopo qualche visita di congedo mandai il servetto da Columba per farle sapere che partivo.