Pagina:Deledda - Colombi e sparvieri, Milano, 1912.djvu/194

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E per la prima volta dopo che Jorgj era malato Columba fece entrare il ragazzo. Il cuore le batteva come ai bei tempi quando ella riceveva lo studente all’insaputa dei suoi; alla sua angoscia si mischiava un senso di tenerezza, di dolcezza, come nei canti degli ubbriachi nella via.

Il ragazzo si guardò attorno inquieto, ma fu un attimo; tosto ritornò tranquillo e anche senza essere interpellato riprese a chiacchierare raccontando tutto ciò che Columba voleva sapere.

— E il terzo regalo che riceviamo. — cominciò, facendo scorrere da una mano all’altra l’arancia gialla e pesante che Columba gli aveva dato. — Se continua così diventiamo ricchi e non c’è bisogno di vender la casa. Giovedì, giusto, è arrivato il secondo regalo: zucchero, caffè, candele, burro, datteri; sulle prime lui rideva e diceva: deve essere la figlia di un botteghiere,1 ma ecco a un tratto lo vedo diventar bianco più di quello che è, capite; in una scatola c’era un biglietto, e lui lo leggeva e tremava. Poi scrisse, scrisse fino alla notte e mi mandò a portar la lettera al vetturale, poi mi disse di lasciare la porta del cortile aperta: si vede che aspettava qualcuno. Oggi arriva un altro regalo e un’altra lettera; egli rideva e piangeva, leggendola; è allegro come un uccellino quando sta per volare; pare che si debba muovere e guarire; è persino rosso in faccia.

Seduta al posto ove il servo del fidanzato aveva a lungo enumerato le virtù del suo padrone Columba ascoltava intenta, mentre i suoi occhi brillavano di curiosità e di gelosia.

— Tu, Pretu, chi credi possa essere?

— Chi?

  1. Droghiere.