Pagina:Deledda - Colombi e sparvieri, Milano, 1912.djvu/226

Da Wikisource.

— 216 —

all’altro dell’orizzonte si guardavano attraverso un velo di nebbia come quattro vecchioni seduti in mezzo al fumo attorno a un focolare di pietra. Passava il vento e spegneva il sole: allora tutto era triste davvero; la pioggia scrosciava fragorosa e i viottoli del paese diventavan torrenti. Poi di nuovo il sole brillava, il cielo diventava simile a un mosaico azzurro e grigio e in lontananza verso l’agro di Siniscola un raggio di sole illuminava una striscia verde che sembrava acqua ed era invece un campo di orzo già alto. Tutti i cespugli della valle eran fioriti, ma curvi, arruffati, sfogliati, quasi avviliti dalle incessanti frustate del vento. Che primavera melanconica! Pareva che la terra e gli elementi fossero in disaccordo: la prima s’ostinava a sorridere ed a fiorire, il vento la schiaffeggiava come un amante feroce.

E Columba aveva anche lei un aspetto di donna percossa; aveva la schiena fiaccata dalle notti insonni, il pensiero pieno di nebbia, e nulla tranne la sua angoscia la interessava.

Neppure le chiacchiere delle sue vicine di casa intorno ai più importanti avvenimenti di quei giorni, — il ritorno definitivo in paese del vecchio Arras, la festa ci San Francesco, la scomparsa di Dionisi Oro il mendicante, — la scuotevano dalla sua idea fissa, Dionisi s’era appunto recato alla festa campestre e non aveva più fatto ritorno; le donnicciuole ogni tanto penetravano nella casupola di lui, nera puzzolente come una tana di cinghiale, e ne uscivano tenendosi su le gonne o scuotendo la testa.

— Dev’esser morto.

— Deve aver seguito qualche altro mendicante, recandosi con lui alle feste di Fonni....

— L’hanno veduto qui, l’hanno veduto là.... L’avranno ammazzato.... si sarà trovato presente a