Pagina:Deledda - Colombi e sparvieri, Milano, 1912.djvu/229

Da Wikisource.

— 219 —


Il suo desiderio era simile a quello di una madre per un suo bambino lontano, e anche la sua gelosia, al pensiero che un’altra donna era là, accanto a lui, che lo curava e lo baciava, che giorno per giorno glielo prendeva tutto, era la terribile gelosia della madre per un’altra donna che il suo bambino ama più di lei. Davanti a questa passione materna sparivano i rimorsi, la pietà, l’amore, la stessa gelosia d’amante. Il pensiero che Jorgj morisse senza perdonarle, portandosi al di là il ricordo dell’altra, la straziava giorno e notte.

Tutto questo non le impediva di dare l’ultima mano ai preparativi per le nozze. Anche quella, notte, fatto ch’ebbe il caffè ne bevette una tazza, poi un’altra; depose il lume sopra una sedia accanto al focolare e si mise a cucire.

Il cane mugolava di tanto in tanto, altri cani rispondevano, e il vento nella valle pareva l’eco di questi lamenti irrequieti. Columba sollevava la testa ricordando le notti di terrore della sua infanzia, quando la mamma ascoltava paurosa il vento che annunzia disgrazia; poi ripensava ai convegni con Jorgj, alla sua paura di venir scoperti, e le pareva di sentir ancora i passi di lui, nella strada, così leggeri che i palpiti del suo cuore le sembravan più forti.

Ma è un inganno del suo cuore? Ecco che esso palpita di nuovo come allora, così forte che i passi ch’ella crede di sentire, ch’ella sente davvero davanti alla sua porta, risuonano meno. Per un attimo un velo lo cade davanti agli occhi e la separa dal presente; egli è lì.... egli è lì.... e batte con le unghie alla porta. È guarito, o forse è morto: ad ogni modo s’è alzato, ed è là, come un tempo, e la vuole....

D’un balzo fu alla porta e aprì senza neppure domandare chi fosse.