Pagina:Deledda - Colombi e sparvieri, Milano, 1912.djvu/231

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Ella risalì lo scalino, richiuso, aspettò il ragazzo.

«Jorgj morrà; ecco perchè il vento sibila e i cani gemono. Madonna mia del Consolo, egli s’è ammalato per colpa mia e una straniera bada, a lui.... una che non lo conosceva, che non lo ha veduto ragazzo, che non ha ballato con lui!...»

Sedette di nuovo accanto al fuoco e nascose il viso fra le mani. Eccolo, egli è di nuovo davanti a lei, piccolo, cereo, magro.... È ancora bambino: la matrigna lo bastona ed egli fugge attraverso il viottolo: dall’alto si volge e piange e ride nello stesso tempo, mentre lei, Columba, curva sulla finestra, lo segue con uno sguardo di beffa crudele....

«Da bambina ero cattiva, — pensa in un momento di lucidità cosciente. — Perchè avevo piacere che la matrigna lo bastonasse? E adesso? È la stessa cosa. E Banna è cattiva con me, e il nonno peggio ancora.... Noi lo abbiamo bastonato, il povero orfano: lo abbiamo ridotto così, entro quel letto, così piccolo, così giallo.... E la straniera....»

Il ricordo della straniera le dava un tremito nervoso; tutto il dispetto e il rancore che aveva nutrito per Jorgj, adesso si riversavano sopra Mariana.

«Ma io vado e glielo riprendo; io vado e appena egli mi vede dimentica l’altra. Essa non può volergli bene: essa, m’han detto, si lava le mani dopo che lo ha toccato, e non rimane a vegliarlo alla notte. Io posso star là cento notti, mille notti, senza stancarmi, finchè egli guarirà. E poi? E il mio sposo? Ebbene, che egli vada in ora mala....»

Adesso le sembra di odiare anche il suo sposo. Di nuovo si alza, respinge col piede il cestino