Pagina:Deledda - Colombi e sparvieri, Milano, 1912.djvu/233

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sulla coltre e scoppiò a piangere. Era un pianto nervoso, pieno di grida simili a guaiti; ed ella sussultava talmente, annaspando con le mani convulse la coperta, che Jorgj e Pretu spaventati ebbero entrambi il medesimo dubbio: che fosse diventata pazza.

— Zia Colù.... zia Colù... — disse il ragazzo con voce tremante, senza riuscir a dir altro.

Jorgj guardava: finalmente mormorò con la voce velata dei febbricitanti:

— Pretu, accendi la candela e va fuori un momento....

Allora Columba sollevò il viso, balzò in piedi.

— Perchè lo mandi via? Non m’importa che mi veda.... nè lui nè altri m’importa più che mi vedano....

— Bè, calmati allora! Cosa vuoi?

— Voglio sapere come stai....

— E non lo vedi? Adesso te ne sei ricordata.... a quest’ora?...

Che amarezza fredda tagliente nella sua voce! Ah, era sempre lui, il suo Giorgio grande e superbo, che la umiliava ancora; ma s’egli in fondo al suo letto caldo di febbre era sempre lo stesso, ella era diventata piccola e debole; la sua anima spezzata si piegava e si lasciava umiliare come il ramo stroncato dalla bufera.

Pretu depose la candela sul tavolinetto e il viso di Jorgj apparve pallido, pieno di disgusto, con gli occhi come coperti da un velo lucente. Columba s’asciugava il viso con la manica della camicia, appoggiando le ginocchia tremanti al letto, un po’ curva sul malato dal cui petto scoperto esalava un calore ardente, un odore di febbre.

Anche le mani di lui tremavano annaspando le lenzuola.

— A quest’ora, sì.... — ella balbettò. — A que-