Pagina:Deledda - Colombi e sparvieri, Milano, 1912.djvu/261

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pronti a incamminarsi; tutte le donnicciuole del vicinato, i parenti, gli amici e molti curiosi gremivano la strada, per assistere alla partenza degli sposi.

Un vociare allegro, risate e grida risuonavano intorno; zio Remundu faceva distribuire vino e dolci sotto l’atrio ove si notava un agitarsi confuso di teste di donne, lunghe sotto i fazzoletti frangiati, e di teste d’uomini con le berrette ripiegate o penzolanti su un orecchio.

A un tratto la gente riunita nella strada fece largo e lasciò passare il prete, il quale aveva preso parte al banchetto intimo della famiglia degli sposi e se ne andava dopo averli un’ultima volta benedetti. Ma invece di risalire la strada egli passò salutando col capo e socchiudendo gli occhi al sole, ed entrò nel cortile di Jorgj; le donne lo seguivano con lo sguardo e molte tacquero, altre si urtarono col gomito. Qualcosa di melanconico, come l’ombra di un ricordo triste, passò su quei visi pieni di curiosità e di malizia.

Zio Remundu uscì a cavallo dal portone; i giovani parenti dello sposo montarono anch’essi sulle loro cavalcature, accomodandosi la berretta sul capo, il fucile sulle spalle, curvandosi poi per salutare gli amici improvvisati e i nuovi parenti che rimanevano in paese.

Columba non riappariva. Banna, ferma davanti al cavallo del nonno, con una lunga cuffia sotto il fazzoletto fiorito, riceveva alcune istruzioni dal vecchio, fissandolo coi suoi occhi verdognoli, scintillanti nel suo viso rosso e fiero più prepotente del solito: pareva lei la sposa, e una gioia proterva, come un orgoglio di vittoria, le traspariva da tutta la persona forte e irrequieta.

Columba non compariva. La sorella dello sposo, seduta a cavalcioni su una giumenta bianca,