Pagina:Deledda - Colombi e sparvieri, Milano, 1912.djvu/85

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E il vecchio presiedeva a capo della tavola fra i due boccali di vino raccontando le sue avventure, mentre lo sposo un po’ pallido rideva e beveva, e agli scherzi e alle allusioni degli invitati rispondeva dicendosi capace di andare alla tanca per domare i puledri. Le donne, compresa la sposa i cui occhi sembravano più verdi nel loro cerchio di viola, erano stanche e pallide; soltanto Columba insolitamente eccitata dai suoni e dalla danza o dalle frasi degli invitati, aveva gli occhi lucenti e il viso roseo. Ballammo ancora assieme nel cortile al chiarore del fuoco e della luna. La notte era fresca, ma noi respiravamo con piacere l’aria che aveva l’odore delle roccie umide e del lentischio fiorito. La luna batteva sulla veranda, dove a un tratto apparve la figura di Banna e subito dopo quella dello sposo. Vedendoli, qualche ballerino emise gridi selvaggi e Columba sussultò come spaventata stringendomi la mano; io allora sentii un brivido; la guardai e il suo sguardo rispose al mio.

Continuando a ballare io sentivo il suo fianco sfiorare il mio, mentre il canto corale monotono e sonoro che guidava la danza mi ricordava il vento nella foresta.

Mi pareva d’essere su una montagna illuminata dalla luna, tra roccie fantastiche e tronchi d’alberi fossilizzati, e che noi tutti che formavamo il circolo del ballo tondo fossimo uomini primitivi riuniti per una danza sacra dopo la quale ciascuno di noi poteva portarsi via la sua compagna e folleggiare con lei nel paesaggio lunare, nascondendosi entro le grotte, baciandosi all’ombra delle quercie, vivendo insomma secondo il suo istinto e il suo desiderio.

Spinto da quest’illusione io seguii Columba un momento che ella si staccò dal circolo per entrare nella casa. Salì la scaletta, attraversò la