Pagina:Deledda - Colombi e sparvieri, Milano, 1912.djvu/97

Da Wikisource.

— 87 —

denaro. Sta’ attento però, ragazzino, tu non conosci ancora bene quell’uomo.

Io fui per esclamare: «oh, sì, lo conosco!» ma giudicai prudente tacere; però quando il vecchio mi disse:

— Ebbene, non indugi? Non è ieri che ci siamo veduti, — io sedetti su una pietra accanto a lui e sebbene l’ora fosse tarda lo pregai di raccontarmi qualche cosa della sua vita.

— Ebbene, che devo dirti? Il torrente mormora quando è pieno; quando non ha più acqua tace.

Ma alle mie insistenze mi raccontò un’avventura che aveva rinfocolato l’odio fra lui e zio Remundu.

— Io non ho mai commesso un delitto; quelli che ne han commesso stanno a casa loro tranquilli; io ho vissuto come una fiera, solo perchè domandavo giustizia. Ero io il perseguitato; perchè dovevo farmi chiudere in gabbia quando ero innocente come il sole? Ed ecco un giorno il vescovo salì su una giumenta e andò al paese come Cristo a Gerusalemme; bastarono tre o quattro sue parole perchè tutti piangessero come donnicciuole e come queste facessero pace. Tutti quelli che battevano la campagna si arresero, andarono in carcere, mentirono, pur di tornar liberi. Furono vili, figlio caro, perchè l’uomo, se è vero uomo, muore prima di travisare la verità. Remundu Corbu fu tra quelli che baciarono la mano al vescovo e ritornò a casa sua. Un giorno io lo incontrai qui, in questi dintorni, e gli rinfacciai la sua viltà. L’ingiuria trae l’ingiuria, figlio caro, come la pietra che rotola sulla china trae la pietra che trova più sotto. Io percossi Remundu e gli sputai sul viso, egli minacciò di uccidermi, ma quell’uomo è vile, sai; ha paura del sangue e dei ferri e non mi uccise, ma senti cosa fece. Finse di dimenticare, e gli