Pagina:Deledda - Il ritorno del figlio - La bambina rubata, Milano, Treves. 1919.djvu/127

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un’idea; scrissi: “Io sono il proprietario del terreno qui accanto e sono venuto perché voglio coltivarlo e stabilirmi qui. Desidero parlare con vostro figlio”.

Nel trarre e riporre il taccuino ebbi cura di tirar fuori anche il portafoglio e di aprirlo, in modo che quei due videro i denari dentro riposti.

E subito alla vecchia brillarono li occhi: a misura che le veniva spiegato lo scritto mi si avvicinava e mi faceva dei cenni di sì, di sì, con la testa: anche il cane addossato al ragazzo stava ad ascoltare curioso, movendo lentamente la coda.

Tutto si metteva bene. La donna mi accennò di seguirla: mi fece entrare nella stanza da pranzo, dove, mi ricordo, c’era solo una grande tavola di noce circondata di sedie e sulla parete un quadro ad olio col ritratto a vivi colori del padre di Fiora. Sul viso del ritratto, rosso e lucido come una mela, gli occhietti azzurri parvero guardarmi dall’alto con un sorriso beffardo; ma quando la vecchietta mi lasciò solo, io sedetti di faccia a lui e lo fissai sfidandolo. Ed ecco l’originale del ritratto venir rapido dalla parte dell’aia, in maniche di camicia, con una roncola in mano: ma non era rosso in viso, no; anzi era pallido; e non sorrideva come