Pagina:Deledda - Il ritorno del figlio - La bambina rubata, Milano, Treves. 1919.djvu/134

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ascoltava la guardia che gli raccontava il fatto ma fissava su di me i suoi occhi lucenti alla luna. Era giovane, distratto: doveva essere innamorato. Eppure quegli occhi m’impaurivano: mi pareva che egli indovinasse già tutto il mio dramma; il segreto che di cosa in cosa triste mi aveva condotto fino a lui.

Allora decisi di dire che nel portafoglio avevo solo qualche diecina di lire, e di tacere della mia visita alla casa colonica e del viaggio coi mietitori; non accusavo nessuno: forse avevo perduto il portafoglio.

Fermi al chiaro di luna in quella strada bianca che conduceva al luogo del mio sogno e del mio dolore, il Commissario ed io gesticolavamo parlando secondo il metodo che m’avevano insegnato nell’Istituto e che egli conosceva benissimo: e le nostre ombre ripetevano i nostri gesti come monelli che si beffassero di noi.

Così non riebbi il denaro. Forse se dicevo la verità si ricercavano i mietitori o l’uomo che mi aveva urtato nell’osteria, e i denari si ritrovavano. Ma io avevo dentro di me il mio segreto e questo