Pagina:Deledda - Il ritorno del figlio - La bambina rubata, Milano, Treves. 1919.djvu/155

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Tornato a casa, mi metto naturalmente a scrivere subito una lettera alla moglie del mio creditore; la ringrazio e le domando scusa se ho risposto quasi male alla sua offerta.

Le confesso che no, non ho speranza di pagare il mio debito, ma che il marito può tenere o vendere il mio terreno, se crede, senza farmi il torto e l’onta di metterlo all’asta. Io avrei lavorato: qualunque mestiere, fosse anche quello del calzolaio o del pescatore, era buono per me, oramai; e volevo lavorare perché volevo vivere. E tante altre cose.

Andai io stesso a portare la lettera: intravidi la drogheria piena di donne che compravano il pane e passai oltre. Il mio pensiero era di consegnare la lettera al vecchio: ma d’un tratto mi fermo turbato; la porticina del corridoio è aperta e in fondo appare il quadro del giardino, un po’ arrossato dal tramonto.

Entro, sfiorando la parete come per appoggiarmi, tanto sono turbato: ed ecco la donna è lì, al suo posto, con la sua sciarpa che s’è allungata di qualche palmo: pareva avesse fretta di terminarla prima di notte. Nella luce quieta, rosea, senz’ombre, mi sembrò meno grassa; il collo liscio e tornito usciva dalla squadratura dell’abito turchino con una linea giovanile.

Non si accorse di me se