Pagina:Deledda - Il ritorno del figlio - La bambina rubata, Milano, Treves. 1919.djvu/86

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campi del mio vicino osservando che erano mal coltivati; la terra era magra, le viti parevano malate e il frumento cresceva rado: inoltre mi stupivo di non vedere nessuno a lavorare, e pensavo: — Come potrei coltivarli meglio io questi campi, se quella ragazza è la figlia del padrone e volesse sposarmi!

Ed ecco subito, quasi cercata dal mio desiderio, la ragazza sollevarsi dietro la siepe come una serpe sbucata dall’erba. Mi par di vederla ancora, coi suoi occhi turchini che hanno una fissità pungente; lo splendore del suo fazzoletto rosso mi fa come per riflesso arrossire.

Cominciai, nonostante il mio turbamento, a farle dei cenni perché si avvicinasse di più: non sapevo ancora cosa volevo da lei; avevo bisogno di vederla meglio, di starle accanto: mi sentivo deciso a rincorrerla se non si avvicinava spontaneamente.

Ma come a sua volta affascinata, ella si accosta alla siepe; per qualche momento ci sorridiamo, ci parliamo con gli occhi; ella non ha più paura né pietà di me, lo sento, ma solo un piacere istintivo di guardare come son fatto, di osservare le mie vesti, la mia cravatta, il taccuino che io ho di nuovo tirato fuori e dove scrivo pregandola di dirmi il suo nome.