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biato nell’ovile dei Carta; solo Basilio, fattosi alto e serio, aveva negli occhi un’ombra continua. La lepre, grossa e dura, sempre silenziosa e inutilmente viva, pareva avesse smesso il suo sogno di fuga: le sue corte palpebre s’abbassavano sugli occhi con melanconica stanchezza; doveva aver dimenticato la vigna natìa, i fratelli forse morti, le danze alla luna.

E zio Pietro continuava a soffiar nel fuoco col suo bastone, spazzava la mandria con l’alta scopa di siepe, preparava i pasti, si pettinava sul fazzoletto rosso, pregava e narrava storielle. Il suo cuore si rasserenava, il piccolo Giglio del Monte aveva esaudito le sue preghiere, spazzando le nuvole dall’oscuro orizzonte della sua vecchiaia, serena adesso come una interlunare notte estiva.

Un giorno ch’erano soli, Melchiorre gli disse:

— Padre, sentite. Zia Bisaccia mi vuol dar moglie.

— Se è buona, prendila. Ma hai dimenticato l’altra?

— È buona, — disse Melchiorre, senza rispondere alla domanda. — È sua nipote. Bassotta, grassa, bruna, con gli occhi di gatto. Una buona massaia.


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