Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/213

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resto usciva di casa così di rado che lo scendere e salire i trenta gradini dal suo pianerottolo in giù poteva servirle anche d’esercizio. Scendeva, dunque, lenta, cauta, pensierosa. Era vestita di nero, con eleganza corretta e semplice: abito tailleur, non troppo lungo, non troppo attillato, che lasciava scoperta la caviglia affusolata dalle calze di seta grigioscuro; scarpette dello stesso colore, coi tacchi bassi: aveva un piccolo cappello nero con un nodino a vento sull’orecchio, che faceva risaltare il pallore un po’ malaticcio, un po’ quasi sentimentale, del viso affinato, e sotto il braccio il libretto da messa con la copertina di pelle tigrata.

«Già va a messa» pensò l’inquilino; e, poiché aveva una sua particolare idea, aspettò discretamente, dando una guardata al giornale, che ella fosse nel lucido pianerottolo della portineria (tanto ella lo accoglierà bene, perché anche lei è superstiziosa e in modo forse più straordinario e radicato degli altri). E quando ella fu vicina, egli finse di esserne tutto scosso; mise il giornale sulla schiena, come non fosse degno di sfiorarla, e si tolse dai radi capelli neri, lucidi bensì e aggiustati come un’ala di vecchio corvo, la bombetta decorosa. La signora Noemi lo aveva anche lei veduto fin dall’alto della scala, e s’illuminava negli occhi d’un riflesso verdognolo fra il lieto e il malizioso.