Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/261

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— Si accomodino, — disse, accennando le due panchine di marmo, una di fronte all’altra, in mezzo alla terrazza. I due uomini sedettero, il gobbo tirandosi bene i pantaloni sulle ginocchia puntute, l’altro, che già si era ripreso e si dominava freddamente, composto, e con le mani una sull’altra, guardandosi intorno per la terrazza e via per il panorama che si stendeva fino alle ondulazioni azzurre dei monti. Pareva, più che altro, attirato da questo scenario limpido e luminoso, con un’aria volutamente compiaciuta nel viso liscio, sbarbato di fresco, nella bocca piccola, triste e casta.

La signora Noemi notava che, mentre il cavalier Giovi vestiva più che mai inappuntabilmente da mattina, con eleganza addosso a lui alquanto pagliaccesca, il vestito di Antioco presentiva qualche piega, qualche sfumatura di trascuratezza e quasi di povertà: rivelava un non so che di stanco, di vinto.

Il gobbo non finiva di fare inchini, gesti, di ringraziamento e di scusa: e, meglio ancora, cercava di iniziare una conversazione amabile e cordiale che mettesse in buoni rapporti la signora Noemi e il signor Antioco.

— Di nuovo le chiedo mille scuse, e la ringrazio per la sua gentilezza. La mia passione