Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/46

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posto, senza sgarbatezza, ma con un certo naturale ordine: e questa era la maggiore inquietudine di Noemi. Quel disordine, quello spostamento, le si comunicavano fisicamente. Mai più ella avrebbe ripreso, nelle sue abitudini, nei suoi bisogni, il ritmo vitale di prima: tutto in lei doveva procedere come in un orologio che continua a camminare pure essendo profondamente guasto.

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D’altronde la perquisizione fu più rapida di quanto potesse credersi: poiché il Commissario per primo pareva convinto della sua inutilità. Eppure anche lui forse vedeva il mistero, negli occhi stessi della donna; e non procedette all’interrogatorio di lei nello studio, perché un veloce sguardo al ritratto gli fece intendere che il vero padrone del luogo era ancora quel fantasma, e che la vedova non avrebbe mai confessato tutta la verità davanti a lui.

Ritornarono dunque nel salottino, ed egli, ordinato all’agente di restare col compagno nel corridoio, sedette davanti alla piccola tavola, al posto ov’era già stato l’altro. Lentamente trasse un taccuino d’appunti, ma evidentemente con intenzione di non farne uso, perché lo tenne, senza aprirlo, fra le mani incrociate. Noemi gli stava di fronte, rigida, decisa a rispondere alle