Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/67

Da Wikisource.

— 57 —


E tuttavia sarà necessario snidare di qui questa brava gente: ne provo rimorso, ho quasi vergogna di essere venuto ad abitare presso di loro, a introdurmi nella loro vita come un verme nel frutto sano. Sana è la vita di questi umili che hanno per amico il sole, e credono, sebbene non ci pensino troppo, in una esistenza futura, ancora più felice di questa. Vivere al loro contatto fa bene: s’imparano molte cose, più che dai libri anche se esemplari.

Verso sera è il vecchio Paolo che attizza il fuoco; e a questo solo chiarore la donna, dopo aver meglio legato il fazzoletto sotto il mento aguzzo, impasta la farina e compone una focaccia sulla quale stende qualche sottile fetta di lardo. La fa cuocere in una padella nera, che ella tiene sempre avvolta nella carta, e l’odore del lardo fritto, dice il vecchio, fa ballare i topi della soffitta. Questa è la cena, condita d’acqua fresca: se ci sono le castagne arrostite, dorate e fragranti come pasticcini, la festa è completa. Ho regalato ai miei ospiti un fiasco di vino, e il vecchio s’è messo a cantare pezzi d’opera, come un baritono da grammofono sfiatato.

– Una volta, – racconta, – sono andato