Pagina:Deledda - Le colpe altrui.djvu/156

Da Wikisource.

— 148 —


— Povero Mikaleddu, ah, misero, coraggio! — singhiozzava la gobbina, tenendolo sempre per le falde del cappotto. E avrebbe voluto spingerlo ad andare subito da Vittoria, e avrebbe voluto tenerselo lì tutta la notte, tutta la vita, lui così alto e pieno di affanno, lei così piccola e piena di pietà...

Dovettero avviarsi; ma allo svolto della siepe ecco di nuovo quel rumore strano di passi pesanti. Vittoria ne parlava sempre e anche la gobbina aveva paura.

— Mikali! Mikaleddu mio... senti?...

Gli si aggrappò nuovamente alle vesti col desiderio di arrampicarsi su lui come il grillo sull’asfodelo; egli si liberò dolcemente e se ne andò: ed ella lo vide dileguarsi nella notte come una stella filante al cui sprazzo di luce segue una oscurità più fitta di prima.


XI.


Bakis Zanche visse ancora sette giorni. Le forze del suo corpo gigantesco lottavano per trattenere l’anima che gli si sbatteva dentro come un uccello ansioso di volarsene via. Nelle soste del male voleva sempre Vittoria accanto al suo letto e chiamava i servi e dava loro ordini per insegnarle come si faceva a comandarli.

Un giorno le parlò a lungo del predio di Santa Maria verso il mare, raccomandandole il vecchio fattore.

— Non cacciarlo via: anzi manda qualche