Pagina:Deledda - Le colpe altrui.djvu/162

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ma le parole di Vittoria le sembravano più che saggie, e tutta la sua ammirazione e la sua devozione da oltre mezzo secolo nutrite per Bakis Zanche già si riversavano sulla nuova giovane padrona.

— E adesso saranno assieme, col figlio — riprese Vittoria mettendo le mani del morto una sull’altra sul petto che non ansimava più. — Anche Andrea non sapeva mentire. Così, povere mani, state così, in pace. Più il freno, più il bastone, più il bicchiere, più il libro... nulla più toccherete... E anche le nostre mani un giorno non toccheranno più nulla...

D’improvviso un’onda di sangue le affluì alla testa; sentì un capogiro, non parlò più: la visione di Mikali sul puledro indomito, con la corda stretta dalle dita vigorose, le era passata davanti radiosa e terribile sullo sfondo di quel luogo di morte come una saetta in una notte tenebrosa.

— No, no, — pensava curva a lavare i piedi del morto neri e callosi come radici di lentischio — io non voglio più vederlo. Tornerò ad alta notte a casa mia, per non incontrarlo, e mi chiuderò dentro come in un monastero.

La visione però la perseguitava; ed ella fu tentata di sciogliersi i capelli per asciugare i piedi del morto e farsi perdonare.

E se era vero che egli le aveva lasciato il suo patrimonio, con l’obbligo di abitare lo stazzo?

— No, no, padre — gli disse, chiudendogli ancora le palpebre che si ostinavano a riaprirsi. — Voi non avete fatto questo! Voi volevate