Pagina:Deledda - Le colpe altrui.djvu/253

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ceva già caldo ma il vento marino di tanto in tanto rinfrescava l’aria col suo alito profumato.

Vittoria non sapeva che era quello il sentiero ove Andrea aveva trascinato la sua angoscia mortale, e Mikali si guardava bene dal dirglielo; ed entrambi, egli, se non completamente dimentico, abituato al ricordo, ella, ignara, si sentivano felici. Felici di essere assieme, di essere soli, di sapersi uniti come un corpo solo per la vita e per la morte: erano nati per questo, pensava Vittoria, e se si erano uniti attraverso tanti ostacoli, Dio aveva voluto così. Sia lodato Dio, dunque: bastava vivere senza offenderlo oltre, lontani dal peccato mortale.

— Che fai? Preghi? — domandò Mikali. — Va, mia madre ti ha ben messo in mano il rosario! Adesso tu e lei fate il pajo.

— Pregavo anche prima, mi pare!

— Non tanto! Almeno certe sere no...

— Quali sere, di grazia?

— Quando venivo io, per esempio!

— Pregavo anche allora, che ti pare? — ella disse con civetteria. — Sono stata sempre una buona cristiana. E tu non lo sei?

— Lo sono, ma l’umido della chiesa mi fa male. Sono i malfattori che pregano come donnicciuole... E anche le donne pregano molto quando sono vecchie o quando hanno qualche malanno. Tu non ne hai, mi pare...

— Che ti viene in mente? — ella disse arrossendo. — Figurati ch’io lo faccia per piacere a tua madre...