Pagina:Deledda - Le colpe altrui.djvu/260

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— È il cavallo, donnina! Adesso vado a rimettergli le pastoje.

— Tu non ti muoverai di qui! — ella gridò stringendogli la mano. — Ti pare? Io sola non rimango...

E lo teneva così stretto che le pietre dei suoi anelli gli pungevano la mano: egli ricominciò a ridere.

— E lui voleva portarsi qui una donna: quella, sì, ci stava volentieri, così Dio mi assista!

— Che idea! — ammise anche Vittoria. Allora, come suggestionati dal luogo e dall’ora, cominciarono a parlare di lui, e Mikali ripetè le storie sentite raccontare dal fattore.

— Dopo tutto mio padre era un uomo che si prendeva tutti i gusti. Eh, lo poteva; era forte, non aveva pregiudizi; e la vita se l’è goduta, lui, mentre ha fatto ben soffrire gli altri...

— Lasciamo in pace i morti, Mikà.

— Del resto, in coscienza mia, a divertirsi ha fatto bene! Oh per questo io l’approvo: tu ti sei messa in mente che io non gli volessi bene; ma t’inganni. Ricordo, una volta, io stavo nascosto dietro un muro (non disse che con lui era Andrea) quando egli passò, a cavallo, così alto e così bello che ancora mi pare di vederlo: sembrava un gigante, ed io gli volevo bene per questo...

— Era buono, quanto bello, — disse Vittoria sottovoce, guardando i suoi anelli.

— Bene, allora nostro figlio lo chiameremo Bakis...