Pagina:Deledda - Le colpe altrui.djvu/27

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stare nessuno ma anche a non lasciarsi calpestare. Mah!... — ansò portandosi un pugno alla bocca e facendo atto di morderlo. — Andrea crebbe più di sua madre che mio. Andava di nascosto da lei, amava il bastardo, e fin da ragazzino diceva a Sirena, poichè non poteva dirlo a me: mio padre dovrebbe riprenderli in casa e dimenticare. Io? Dimenticare? Perdonare, sì, dimenticare no: come posso dimenticare, se mi hanno divorato le viscere? Come, domando a voi, che siete pure uomo. Perchè io l'amavo, la donna: la portavo come una moneta sulla palma della mano. Se ella avesse tentato di uccidermi mi avrebbe offeso meno.

«Ma queste cose il ragazzo non poteva capirle, — proseguì, chiudendo gli occhi, stanco del lungo parlare — non che sia cattivo, Andrea, ma strano anche lui lo è. È venuto su come un orfano, perchè è la madre che getta il buon seme, e la madre era lontana. Da bambino era religioso, fin troppo: sembrava un agnellino; e veniva con me, in groppa al mio cavallo, a San Pietro delle Immagini, a cantare i salmi: tutti si volgevano a guardarlo. Ma poi mutò: mi scappava di casa per cercare sua madre e il fratello bastardo e allora i miei parenti e i miei cugini mi dissero: mandalo fuori, lontano, per togliergli queste idee di mente; fallo studiare, diventare prete, dottore, tu che hai mezzi. E lo mandai a Nuoro, lo mandai a Sassari. Feci bene? Feci male? Non lo so. So che egli ritornava ogni anno peggio di prima. Sempre a leggere, a farneticare sui libri,