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citurni, tosto represso dal comando energico del grandetto:

— Zitti! V’ho detto zitti!

Mikali rimase in mezzo a loro, gigantesco sullo sfondo della sua ombra che oscurava tutta una parete; e non desiderava di rivedere Battista, ma pensava al tempo lontano in cui sedevano assieme anche essi bambini sulla pietra di quel focolare. I ragazzini che gli stavano adesso intorno erano venuti tutti dopo; egli ricordava di averli veduti uno dopo l’altro nel canestro ove li deponevano appena nati, e come lui e Battista ogni volta si rallegravano per l’arrivo di «un bambino nuovo» che portava un po’ di biscotti e di bevande dolci nello stazzo solitario.

La sua fantasia lavorava; visioni incerte apparivano e sparivano come le ombre sulle pareti: ecco un letto di legno con le coltri disfatte, e sopra, una donna che soffre: è Battista, è Vittoria, è zia Sirena?... Nel canestro sopra la cassa, fra pannolini caldi e bianchi come piume di colombo, si agita un neonato tutto rosso, ancora insanguinato, con la testa grossa coperta di lanugine scura e gli occhi gonfi, ancora chiusi e già piangenti... Sì, solo il pianto può aprirgli le palpebre: per questo pare provi gusto a piangere... È uno dei bimbi dello stazzo? È suo figlio? Egli non sa bene ma si turba pensando come si nasce, come si muore, fra il sangue e le lagrime; e si sente sempre più commosso dai ricordi, dalle speranze, dai bisbigli dei ragazzini spauriti, dall’idea che il

Deledda. Le colpe altrui. 19