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volgevano. A volte gli sembrava di soffocare: poi un gemito stridulo gli usciva dai denti stretti e tutto intorno di nuovo si placava in una pace torbida per ricominciare subito a rimbalzare in un ribollimento pazzo di tempesta.

— Andrò da Vittoria, — pensava mordendo le coltri — la riprenderò: è mia; la piglierò, la spezzerò; è uno stelo fragile; è una cosa mia; io sono forte, poichè ho l’intelligenza, ho la volontà; posso avere il dominio.

Ma subito questa sua forza lo spaventava. — E quando l’avrò avuta, e quando l’avrò inchiodata alla mia croce? — Ecco, su quello stesso letto giacevano suo padre e sua madre: e la donna piccola e silenziosa era scivolata giù, se n’era andata a spargere il veleno del male per tutta la casa, per tutte le terre intorno. Come ricominciare? Eppoi l’orgoglio lo irrigidiva; gli si conficcava dal calcagno alla nuca come una verga di ferro. Dritto, Andrea; l’amore dev’essere un dono spontaneo, non una elemosina nè una rapina; dritto, Andrea, non metterti al paro di Mikali, al paro di lei, creatura di debolezza e di perfidia. Solo, davanti a te stesso, Andrea: essi sono dei morti: tu solo esisti.

Ed ecco gli sembrava di marciare ancora, dritto sotto il suo carico, attraverso il deserto arido della vita; ma che sete, Dio mio, che fame, che stanchezza! Viene la vertigine, il corpo si piega, la verga si spezza: e Vittoria è lì, come la donna al pozzo, come la donna col pane e col balsamo. Vittoria, dolcezza, amore, oblio,

Deledda. Le colpe altrui. 6