Pagina:Deledda - Le colpe altrui.djvu/91

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ecco a un tratto vide un rettangolo d’argento sui mattoni neri e s’accorse che era la luna, non l’alba, a illuminare la terra: luce di illusione. S’avvicinò alla finestra e la sua ombra piccola e deforme come quella di un gnomo gli ricordò Mikali a cavallo, sopra il gruppo dei puledri frementi, Mikali alto e bello, coi capelli al vento come Sansone, Mikali il maschio, il vero uomo, il vero forte. Ed egli, egli era l’ombra dello gnomo, l’illusione che va spinta dall’aria come la bolla di sapone, con tutti i colori dell’iride, con tutto il vuoto del nulla.

Tornò a buttarsi sul letto e di là vide la stella del mattino come aveva veduto la stella della sera, ferma sul limitare dell’infinito come il faro di un rifugio sicuro.

Morire! Nessuno lo amava ed egli non amava più nessuno. Tutti i fili si erano rotti intorno a lui, ed egli giaceva come la marionetta di cenci dopo la rappresentazione. Giaceva sul letto dal quale era scivolata sua madre per correre ai convegni col servo, e farneticava ancora di fare il paladino cristiano. Salvare Vittoria! Salvarla da che? Dall’amore? Se l’amore solo è salvezza? Se l’amore solo è vita? Se ella forse in quella lunga notte di dolcezza era fra le braccia di Mikali, una cosa sola con lui, congiunti per volontà stessa di Dio? Come combattere contro tale forza? E poi egli non la amava più, Vittoria, forse non l’aveva mai amata: la desiderava soltanto; ed era davvero come il soldato esausto e assetato che si getta dietro la siepe e si abbandona ai sogni del de-