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Il servo capì che per quella sera non doveva insistere, e se n’andò, senza punto offendersi se veniva cacciato.

— Ufff! — sbuffò Antine, rimasto solo. — Che gente cretina!

E s’affacciò alla finestra, disgustato un po’ di tutto e di tutti. Molto meglio la vita di Seminario, pulita, civile, sebbene così metodica. E dire che l’aveva tanto sognata questa libertà della tanca, dell’ovile paterno, interrotta solo dalle gite che contava fare al paese!

Stette a lungo alla finestra, distinguendo sempre più le cose nel buio. Laggiù era il fiume; gli oleandri si disegnavano come una bassa nuvola sulla purezza cenerognola del cielo. La tanca pareva stendersi all’infinito, al di là dell’orizzonte, tutta esalante una calda fragranza di stoppie, di fieno, di macchie. Gli olivi e i vecchi mandorli del frutteto avvolgevano silenziosi la casa. Dalla finestra Antine dominava la massa quasi compatta delle loro chiome, su cui le stelle gettavano rapidi e fugaci bagliori. Egli si sentiva triste, triste; la testa gli dolorava un poco. Pensava a Nuoro, ai compagni, alle belle passeggiate, alle discus-