Pagina:Deledda - Nel deserto, Milano, 1911.djvu/32

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chi scuri e il viso olivastro, uscì correndo dall’ingresso polveroso, salutò Lia in dialetto sardo e l’aiutò a tirar giù la scatola.

— Bene arrivata, signoricca. Era cattivo il mare? Lo so io che cosa è quella: pare di entrare all’inferno, quando si entra nel bastimento.

— Adesso però siamo in terra; prendi la scatola e va avanti, — le impose il padrone, scendendo con precauzione dalla carrozza.

— Ah, la vostra serva è sarda? Come si chiama? — domandò Lia, seguendolo a passo a passo su per le scale.

— Si chiama Costantina. Sì, pur troppo è sarda. Così ha tutti i difetti delle serve di là e delle serve di qui....

Egli saliva lentamente, appoggiando il bastone ad ogni scalino; e Lia lo seguiva, incerto se aiutarlo o no. Ma le pareva che egli non desse importanza ai suoi malanni; appena furono nel vasto appartamento al primo piano, senza darle tempo di lavarsi e di cambiarsi, le fece servire il caffè nella sala da pranzo arredata con un certo gusto con mobili in noce e quadri che riproducevano alcune marine gialle e rosee di Salvator Rosa, e la condusse a vedere le altre stanze, fermandosi con compiacenza nel salottino verde e oro, ove la luce penetrava discreta dalla finestra socchiusa, e i vasetti di Murano scintillavano tenuemente, sui tavolini di lacca verde, come fiori coperti di rugiada; e battendo