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na... — e quando il babbo ritornò al suo lavoro, respirando il profumo delicato dei miei fiori, ebbe un limpido sorriso negli occhi che mi incantò.

Da quel giorno i fiori non mancavano più nel vaso di porcellana della sua tavola: in estate mi affaticavo per rendere fresca e deliziosa quella stanza, in inverno il fuoco ardeva sempre nel caminetto per mia cura: ogni giorno il babbo trovava una nuova sorpresa nella stanza dei suoi lavori, e il giorno innanzi che lasciassi per sempre la nostra casa, nel farvi l’ultima visita, nel portarvi l’ultimo mazzo di fiori, egli mi disse con un mezzo sorriso:

— E d’ora innanzi chi fiorirà il mio studio?

Anch’io sorrisi. Ahimè, le nostre labbra sorridevano: i nostri cuori piangevano!...

· · · · · · · · · · ·

Poichè la sera si avanza non mi fermo in qualche altra stanza della casa, ma corro alla camera di Giannina, la nostra balia, la nostra governante. Per caso, questa camera, come il vestibolo, è ancora ammobiliata, press’a poco come allorchè abitata dalla nostra governante.

Giannina! Mi pare di vederla ancora, bianca, con gli occhi buoni, i capelli neri sostenuti da una aureola di spilloni d’argento — era lombarda — con un costume simile a quello che avevo veduto alla Lucia del Manzoni in un quadro che rappresentava