Pagina:Deledda - Nostalgie.djvu/112

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Regina non aveva mai immaginato potessero esistere creature così belle e luminose; guardò miss Harris, che s’era fermata in fondo alla serra con due signore vestite di nero, e i suoi occhi diventarono selvaggi.

In quel momento, dal fondo della serra, salì una musica lenta e voluttuosa che coprì le voci, le risate, i tintinnii vibranti delle tazze: miss Harris s’avvicinò. Regina provava una sensazione di dolore quasi fisico, una tristezza ardente: quella luce rossa di tramonto, quei palmizi che davano l’illusione di un paesaggio orientale, il caldo, i profumi, la musica, la figura abbagliante della ricca straniera, le davano una specie di nostalgia, il ricordo atavico d’un mondo meraviglioso, ove tutto era piacere, e dal quale ella era stata esiliata.

Ah, in quel momento ella comprese la natura del male, come ella lo chiamava, che le rodeva le viscere. Ah, questo male non era il rimpianto e la nostalgia della patria e del passato: era la morte dei sogni che avevano riempito il passato, e avevano profumato l’aria da lei respirata, i luoghi dove aveva vissuto, i sentieri che aveva attraversato: sogni dei quali ella non aveva colpa, perchè nati con lei, trasfusi nel suo sangue, dal sangue della sua razza dominatrice.

Miss Harris s’avvicinò all’angolo ove sedevano le due piccole borghesi, trascinandosi dietro la lunga coda luminosa con una eleganza svogliata che aveva qualche cosa di felino. Le due signore straniere l’accompagnavano e parlavano con lei un francese incomprensibile.

Bisognò che Arduina s’alzasse e sorridesse molto umilmente perchè miss Harris la ricono-